giovedì 28 febbraio 2013

DA UN ATLANTE DEL MONDO DIFFICILE






So che stai leggendo tardi questa
poesia, prima di lasciare l' ufficio
con l'abbagliante lampada gialla e la finestra nel buio
nell'apatia di un fabbricato sbiadito nella quiete
dopo l'ora di traffico. So che stai leggendo questa poesia
in piedi nella libreria lontano dall'oceano
in un giorno grigio di primavera, fiocchi sparsi di neve
spinti attraverso enormi spazi di pianure intorno a te.
So che stai leggendo questa poesia
in una stanza dove tanto è accaduto che non puoi sopportare
dove i vestiti giacciono sul letto in cumuli stagnanti
e la valigia aperta parla di fughe
ma non puoi ancora partire. So che stai leggendo questa poesia
mentre il treno della metropolitana perde velocità e prima di salire
le scale
verso un nuovo tipo d'amore
che la vita non ti ha mai concesso.
So che stai leggendo questa poesia alla luce
del televisore dove immagini mute saltano e scivolano
mentre tu attendi le telenotizie sull'intifada.
So che stai leggendo questa poesia in una sala d'attesa
Di occhi che s'incontrano sì e no, d'identità con estranei.
So che stai leggendo questa poesia sotto la luce al neon
nel tedio e nella stanchezza dei giovani fuori gioco,
che si mettono fuori gioco quando sono ancora troppo giovani. So
che stai leggendo questa poesia con una vista non più buona, le spesse lenti
ingigantiscono queste lettere oltre ogni significato però
continui a leggere perché anche l'alfabeto è prezioso.
So che stai leggendo questa poesia mentre vai e vieni accanto alla stufa
scaldando il latte, sulla spalla un bambino che piange, un libro
nella mano
poiché la vita è breve e anche tu hai sete.
So che stai leggendo questa poesia non scritta nella tua lingua
indovinando alcune parole mentre altre continui a leggerle
e voglio sapere quali siano queste parole.
So che stai leggendo questa poesia mentre ascolti qualcosa,
diviso fra rabbia e speranza
ricominciano a fare di nuovo il lavoro che non puoi rifiutare.
So che stai leggendo questa poesia perché non rimane
nient'altro da leggere
là dove sei atterrato, completamente nudo.
.-.-
I know you are reading this poem
late, before leaving your office
of the one intense yellow lamp-spot and the darkening window
in the lassitude of a building faded to quiet
long after rush-hour. I know you are reading this poem
standing up in a bookstore far from the ocean
on a grey day of early spring, faint flakes driven
across the plains' enormous spaces around you.
I know you are reading this poem
in a room where too much has happened for you to bear
where the bedclothes lie in stagnant coils on the bed
and the open valise speaks of flight
but you cannot leave yet. I know you are reading this poem
as the underground train loses momentum and before running
up the stairs
toward a new kind of love
your life has never allowed.
I know you are reading this poem by the light
of the television screen where soundless images jerk and slide
while you wait for the newscast from the intifada.
I know you are reading this poem in a waiting-room
of eyes met and unmeeting, of identity with strangers.
I know you are reading this poem by fluorescent light
in the boredom and fatigue of the young who are counted out,
count themselves out, at too early an age. I know
you are reading this poem through your failing sight, the thick
lens enlarging these letters beyond all meaning yet you read on
because even the alphabet is precious.
I know you are reading this poem as you pace beside the stove
warming milk, a crying child on your shoulder, a book in your
hand
because life is short and you too are thirsty.
I know you are reading this poem which is not in your language
guessing at some words while others keep you reading
and I want to know which words they are.
I know you are reading this poem listening for something, torn
between bitterness and hope
turning back once again to the task you cannot refuse.
I know you are reading this poem because there is nothing else
left to read
there where you have landed, stripped as you are.
- ADRIENNE RICH -

mercoledì 27 febbraio 2013

VIAGGIO SULLA LUNA

Una poesia dintorno apre bene il giorno


Ah! andate fin là

Ma sapete dov'è?
No ma ho un'idea
E portate tutti questi bagagli?

Mai mai
Credetemi
Mai arriverete
Fin là
Con tutta questa roba

- Jaques Prévert -

martedì 26 febbraio 2013

I POETI PITTORI



Parecchi poeti che conosco
sono anche pittori
perché gli piace scrivere
anche con le parole inventate
dai più di mille colori


- Giovanna Giordani -

sabato 23 febbraio 2013

PICCOLA FIABA DEL CASTELLO DEI SOGNI



Era un castello
pieno di sogni
e stava sopra una nuvola
che vagava per il grande cielo
Un giorno la nuvola
giunse vicinissima al sole
e se ne invaghì
Gli chiese se poteva restare
accanto a lui per sempre
ma il sole rispose
che non era possibile
Allora la nuvola iniziò a piangere
e il castello dei sogni crollò
e nessuno sa dove sia finito
Qualche sogno riuscì a fuggire
appena in tempo
ma non volle più abitare
in un castello sopra una nuvola.

- Giovanna Giordani - 

giovedì 21 febbraio 2013

NELLA TRINCEA




Nella trincea
sul monte
crescono l’erba e i fiori
a consolare
le ferite della terra

e nel prato
dalle mine martoriato
risplendono
i cardi come stelle

Sbucano le marmotte
dalle tane
squillando i lori inni
 alla vita

Conduce il vento
invocazioni di PACE
come eco smarrite
in cerca di dimora
dentro i cuori

- Giovanna Giordani - 


mercoledì 20 febbraio 2013

martedì 19 febbraio 2013

LA NUVOLA




Alta
lenta
e lontana
vaga la nuvola
nel cielo
mirando, timorosa
la terra;
vivo
è ancora
il ricordo
del suo velo strappato
sulle cime degli alberi
mentre
chinata dal vento
sussurrava loro
una carezza

- Giovanna Giordani -

lunedì 18 febbraio 2013

AL RADUNO DEGLI ANGELI


Al raduno degli angeli
ne manca sempre qualcuno
Sono quelli che ci lasciano le penne
nel volare troppo in basso
tra gli umani
e non sanno più tornare.

Avevano suonato
e apparve l’africano
dal sorriso bianco di pena
gli occhi d’ebano
lucenti di perché
e cose da vendere
- per aiutare me -
Un piccolo tappeto
mi sarebbe servito
e l’ho comprato.
Quando se n’ è andato
nel vano dell’uscita
- oh, stranezze della vita! -
un’inspiegabile piuma grigia
ballava sul pavimento.

- Giovanna Giordani -

sabato 16 febbraio 2013

IL CANTO DEI POETI




Per me leggere e scrivere sono fatiche assai lievi, son dolce ristoro che conforta dalle fatiche piu’ gravi e ne produce l’oblio. …” (F. Petrarca)


Quando il clamore del mondo
si spegne
riecheggia amico
 il canto dei poeti

Sguscia
dai coriacei silenzi
e  splendente e  fecondo
zampilla
dall’ineffabile sorgente

E’ il canto
delle anime inquiete
amorevoli  schiave
delle alchimie delle parole
con le quali  sole
hanno imparato a  camminare
sui cigli del paradiso.

- Giovanna Giordani

mercoledì 13 febbraio 2013

IL SIGNORE E LA SIGNORA STELLE




Vivevano  fra loro lontani come stelle lontane fra loro.
Per tutta la lunga eternità divisi come stelle divise, solitariamente
nei loro singoli cieli, divisi, luccicavano.

- Vivian Lamarque

martedì 12 febbraio 2013

AVREI UN PAPA IN MENTE

Avrei un papa in mente
che sulla testa
portasse un bel niente
se non un berretto
ogni tanto
per ripararsi dal freddo
o dal sole
e poi indossasse
un vestito
comprato al mercato
in mezzo alla gente

Avrei un papa in mente
che abitasse
in un piccol convento
che lo riparasse
dalla pioggia
e dal vento

Avrei un papa in mente
con gli occhi di sole 
e le mani adornate 
di niente   
con grandi braccia
per abbracciare
e buone parole
per consolare

Ma un papa così
io lo so
è troppo "piccino"
mi ricorda però
Gesù Bambino.

- Giovanna Giordani -


Un Papa così credo sarebbe piaciuto anche al Prete dei poveri che è venuto a mancare ieri nella mia città, nella stessa giornata delle dimissioni del Papa.
Due modi diversi di essere testimoni della Parola. Il loro Cristo li apprezzerà entrambi.






lunedì 11 febbraio 2013

IL CORATTO MAGIGLIOSO


E visto che siamo in clima di carnevale perchè non sorridere un po' con questa  magigliosa poesia che, come dice l'autore stesso, si commenta da sola?
Buon divertimento!




domenica 10 febbraio 2013

PAESE MIO

Poesia del grande Biagio Marin nel suo amato dialetto gradese




Paese mio,

picolo nío e covo de corcali,
pusào lisiero sora un dosso biondo,
per tu de canti ne faravo un mondo
e mai no finiravo de cantâli.

Per tu 'sti canti a siò che i te 'ncorona
comò un svolo de nuòli matutini
e un solo su la fossa de gno nona
duta coverta d'alti rosmarini.

- Biagio Marin -

traduzione:

Paese mio,
piccolo nido e covo di gabbiani,
posato leggero su di un dosso biondo,
per te di canti ne farei un mondo
e mai non smetterei di cantarli.

Per te questi canti, perché ti incoronino
come un volo di nuvoli mattutini
e uno solo sulla fossa della nonna mia
tutta coperta di alti rosmarini.

sabato 9 febbraio 2013

M'INVITA IL CIELO


M'invita il cielo 
a cavalcare nuvole
in attesa
Ed oggi è il giorno giusto
per rivestire il cuore
d'una abito leggero
docile ai venti 
e privo di pensieri
Galopperà veloce
(credo felice)
fino ai confini estremi
della luce
inebriato di azzurro
e di nonsenso
poi tornerà placato
al porto quieto
a seminare il buio
di polvere di stelle.

- Giovanna Giordani -

SE ANCA 'L BON DIO

Poesia in dialetto trentino


Se anca 'l bòn Dio

bevéssa na bichéra,

bèl che sarìa

gavèrlo 'n compagnia

co la man pu lizéra!

- Fabrizio da Trieste - 

Traduzione

Se anche il buon Dio
bevesse un bicchiere di vino
 sarebbe bello
averlo in nostra compagnia
con la mano più leggera!



venerdì 8 febbraio 2013

MOONLIGHT (Ascoltando Beethoven)





Punteggia il buio
un tintinnare di monete d’oro
L’aria tremante 
si rannicchia
nelle braccia del lago
Meditabonda
si muove insonne
la notte 
frusciando fra respiri
trattenuti
ed alla vista della luna
le sovviene
un identico sorriso
di Gioconda.


- Giovanna Giordani -

giovedì 7 febbraio 2013

IL SIGNORE DELLA CARAVOCE





Teneva la caravoce del signore nella profonda grotta delle
orecchie, al riparo.
Al riparo da cosa?
Dal vento del tempo, del tempo che consuma.
Le orecchie custodivano la caravoce come vestali.

- VIVIAN LAMARQUE -

LA SPLENDIDA


E' una fiaba della scrittrice Rosella Rapa, che avevo letto in rete parecchio tempo fa e, avendola piacevolmente ritrovata, sono contenta di proporla per la sua squisita gradevolezza 





Elisa la Splendida era la Stellina più bianca e più lucente di tutta la Via Lattea.
Era una Stellina molto simpatica: cantava e ballava, tenendosi per mano con le sue mille e mille sorelle, ed insieme traversavano il cielo facendo sognare grandi e piccini.
Talvolta, guardando giù, Elisa vedeva lontano lontano altre Stelle, tutte in fila, come loro. " Vorrei tanto conoscere quelle Stelline laggiù!. " pensava "Chissà quante belle storie avranno da raccontare, e chissà come sarebbero contente di ascoltare le mie canzoni!". La Luna, vecchia e Saggia, le ricordava :-          Tranquilla, Elisa, godi quello che hai, resta con le tue sorelline. - Elisa restava tranquilla per un pochino, poi, quando la Luna non c' era, continuava impaziente a guardare  l' altra Via Lattea, che le sorrideva. Una Notte, molto Buia, non resistette più: sfuggì di mano alle sorelle, prese la rincorsa, e viaaa !!!! Si buttò giù, oltre l' infinito.
E volò, e volò, e volò …… finchè ciunfete! Cascò in qualcosa di duro e appiccicaticcio che non conosceva. Che spavento! Tenendo gli occhi chiusi stretti stretti per la paura, continuò a sentirsi cadere, sempre più piano, sempre più lentamente; ad un certo punto … PUF, e si fermò sul morbido. Terrorizzata, sentì strani rumori: muoversi muoversi, voci agitate intorno a lei, corse frenetiche. Piano piano, con cautela, aprì un occhietto, poi l' altro ...
Che Meraviglia !!!
Movimento, luci, colori ! Elisa la splendida non aveva mai visto, dall' alto del cielo stellato, i colori del Mare; lei conosceva soltanto il bianco lucente delle stelle, e il blu scuro della Notte. Fra tutti gli esseri che la circondavano, il più bello era davanti a lei, giallo e luminoso, con una piccola corona in capo, e la codina tutta arricciata. Era lungo e sottile, e stava dritto molto fieramente.
-          Io sono Cavalreuccio, il re dell' Oceano Più Caldo. - spiegò. - Bellissima principessa staniera, vuoi essere mia moglie ? -Elisa rimase così esterrefatta, che non riuscì neppure a parlare. Chiuse gli occhietti, sbattè le ciglia, e gli abitanti marini presero tutto questo come un sì. La fecero salire su una carrozza di conchiglia, trascinata da due pesci d' argento, e la portarono nella magnifica reggia di Corallo, dove gli archipolipetti continuavano a costruire senza sosta sale e saloni ogni giorno più belli e scintillanti, pieni di colonne, decori e incastri sempre diversi.  Elisa era molto felice, insieme al suo sposo Cavalreuccio: ebbero tanti figlioletti, Stelline e Cavallucci, di ogni colore. Alcuni si fermarono con loro, nell' regno Oceano Più Caldo, altri cominciarono a viaggiare, per conoscere i Sette mari di cui tanto si parlava. Un giorno, cinque cavallucci bianchi tornarono entusiasti.  -          Abbiamo trovato un mare sottile sottile, tanto sottile che non si poteva nemmeno stare diritti. Oltre il Mare c'era un'altra cosa sottile e leggera, di un azzurro chiaro e trasparente: poi è accaduta una cosa magnifica. L' azzurro è diventato tutto scuro, più scuro del mare, e sono comparsi tantissimi puntini, bianchi e lucenti. Sembravano ancora più lucenti di mamma. -Elisa si sentì stringere il cuore : il cielo! Come aveva potuto dimenticare il suo cielo, le sue sorelle, il suo passato? Fu presa dalla nostalgia, e dalla voglia di rivederlo, almeno per una volta. Cavalreuccio l' ammonì.-          Attenta, mia Splendida Elisa,  non farti trascinare: qui è casa tua, ormai, hai tanti bambini, e tutti ti vogliono bene. -Elisa ascoltò una volta, poi un' altra; poi, un giorno che Cavalreuccio era lontano, in visita ad un altro re, zitta zitta, si allontanò dal palazzo di Corallo e cominciò a salire, salire, sempre più alto a cercare l' azzurro. Ma … Aimè ! Fu catturata ! Rimase impigliata in una rete di pescatori, che la gettarono prima in mezzo ai pesci, poi fu scaraventata su una spiaggia, dove finì bruciata dal sole e ridotta in finissima sabbia. La sabbia fu calpestata, raccolta, trasportata, dispersa. Volò via con il Vento, ed infine ricadde sulla Terra. 

Passarono mille e mille anni, ma Elisa non se ne accorse nemmeno. Non si accorse di passare di spiaggia in spiaggia, di terra in terra; finchè un giorno aprì gli occhi, e vide … vide tutte le sue sorelle, su in alto, bellissime e lucenti,  milioni di puntini luminosi nella Via Lattea,  bianca e splendida come sempre. Elisa chiamò disperata :-          Sorelline, sorelline, venite a prendermi!!! --          Non possiamo, non possiamo! - risposero le Stelline, piangendo tutte insieme. Piansero tanto, e le loro lacrime caddero giù, dal cielo fin sopra la terra, bianche e scintillanti. Coprirono quasi tutto, con un manto bianchissimo che brillava alla luce della Luna, rischiarando il cielo blu. Elisa si addormentò di nuovo,e quando finalmente si svegliò, sentì una carezza vellutata su di lei.-          Elisa, sono Cavalreuccio ! –Una farfalla, con le ali gialle come il sole, le aveva dato un bacio, e l' aveva destata. -          Siamo tutti qui ! - spiegò il nuovo Cavalreuccio. - Ci sono le genziane, blu come il cielo di notte, le genzianelle, appena più chiare, come le onde, gli anemoni che conoscevi tanto bene, con tutti i loro colori, e ancora tanti, tantissimi fiori e farfalle per farti compagnia. Guardati intorno: ci sono anche le tue sorelle ! -  Elisa si mosse un pochino : si accorse di avere uno stelo, che poteva piegare, per guardare di qua e di la, e poi in alto, verso il cielo, il sole, la luna e la Via Lattea. Accanto a lei c' erano … sì, incredibile, c' erano proprio delle Stelle, bianche e vellutate, splendide come non mai. Con un vestitino di pelo, per resistere alle notti più fredde, e cantare con le altre sorelle rimaste in alto.  Non bisogna mai raccoglierle, perché sono molto rare, e crescono solo sulle montagne alte, altissime, per arrivare a toccare il cielo : sono le Stelle Alpine.

- Rosella Rapa
                                                         

martedì 5 febbraio 2013

IL PICCOLO CUORE


C’era una volta un piccolo cuore, ma proprio piccolo piccolo, tanto che il suo lieve battito si sentiva appena.
Un  giorno, non si sa come nè quando, questo piccolo cuore si ritrovò  in un luogo misterioso e cominciò a piangere silenziosamente.
Le fate stavano facendo la loro passeggiata giornaliera e notarono fra le foglie di malva, al bordo del sentiero, una cosina tutta rossa che non era sicuramente una fragola. Beh, era il piccolo cuore, come avrete già capito! Le fatine si fermarono di botto assai incuriosite. Fata-farfalla lo raccolse delicatamente nella sua mano cercando di asciugargli le piccole lacrime, poi lo mostrò alle sue compagne che lo ammirarono stupefatte perché non avevano mai visto nulla di simile dalle loro parti.
La notizia si sparse per tutto il regno e giunse così alle orecchie  della regina delle fate e del principe degli elfi che accorsero per vedere lo strano esserino.
Il piccolo cuore aveva due occhietti azzurri come quelli dei myosotis e allora si decise all’unanimità di chiamarlo Myo. E così lo chiameremo anche noi durante questo breve racconto.
Myo si guardava intorno incuriosito e non diceva una parola (aveva anche una piccola bocca), ma almeno non piangeva più.Però...però sorgeva un bel problema. Chi si sarebbe preso cura di lui? A questo interrogativo si udì un coro di voci che diceva:  -io, io, io, io! -
Ma è chiaro che Myo non poteva abitare in tutte le casine delle fate e così venne presa una decisione che nessuno si sarebbe aspettato: la regina delle fate decise che Myo doveva essere condotto al suo castello dove lei stessa avrebbe provveduto ad accudirlo.
Le fate esclamarono un OOOHHH  che fece tremare le foglie degli alberi vicini, perché abitare nel castello della regina era, naturalmente, considerato un grande privilegio. Però furono tutte contente di quella decisione che almeno non avrebbe permesso loro di litigare per ospitare quel tenero batuffolino rosso!
Fu così che la regina ordinò ai folletti di sistemare delicatamente il piccolo cuore nella sua carrozza d’oro e,  via, al galoppo verso il castello. Il principe degli elfi,  invece,  fu invitato a cena dalle fate durante la quale gli  raccontarono  di come avevano trovato quel tipetto così diverso da loro.
Intanto la regina era arrivata nella sua dimora regale e fece preparare una bellissima stanza per Myo il quale non si rendeva neanche conto di quello che gli stava succedendo, ma capiva solo che qualcuno si stava per davvero occupando di lui.
I giorni passavano, Myo si stava adattando al nuovo ambiente nel quale riceveva tutto ciò di cui sembrava aver bisogno.
Ogni tanto arrivava in visita al castello il principe degli elfi con i suoi folletti e Myo  si rendeva conto di quanto il loro aspetto fosse così diverso dal suo. Forse era per questo, pensava la regina, che ogni tanto  scorgeva in quegli occhietti azzurri una certa malinconia.
Un giorno provò a parlargliene e così il piccolo cuore le disse che gli sarebbe tanto piaciuto avere l’aspetto di uno degli elfi che vedeva saltellare felici nei prati intorno al castello.
Detto fatto, la regina delle fate sfoderò la sua bacchetta magica e il piccolo cuore diventò un bellissimo elfo.
- Sei felice ora? – gli chiese. -  Oh si, tanto, grazie regina - rispose Myo abbracciandola senza pensarci due volte!
Il tempo passava e il folletto Myo si divertiva a giocare e a scherzare assieme agli altri compagni.
- E il piccolo cuore?-  Direte voi – dov’è andato a finire? -  Beh, il piccolo cuore era rimasto dentro il petto di Myo e continuava a battere con sempre maggior forza tanto che qualche volta faticava a calmarlo. Fu in uno di questi momenti che Myo si accorse che forse il suo cuore voleva dirgli qualcosa che lui non riusciva  proprio a capire. Provava così una sensazione strana che gli toglieva un po’ della serenità che godeva in quel posto incantato. In fondo era nel castello della regina delle fate, aveva tutto quello che desiderava, eppure ogni tanto saliva dal suo piccolo cuore uno strano richiamo. Si decise a confidarsi con la regina la quale riflettè molto su quanto udiva e capì che il cuore di Myo forse desiderava qualcosa che la sua bacchetta magica probabilmente non era in grado di fargli avere. E questo le dispiaceva molto.
Un giorno d’estate la regina decise di portare Myo a fare una passeggiata lungo il sentiero che confinava con il suo regno e dove era molto facile incontrare gli esseri umani. Ad un certo punto passò accanto a loro  una giovane donna dallo sguardo molto triste. Alla sua vista Myo sentì il cuore accelerare i battiti in modo tale che dovette fermarsi a sedere su una panchina. La regina prese posto accanto a lui e, mano a mano che Myo le raccontava del suo cuore in tempesta, ella cominciava  a comprendere che i suoi sospetti si stavano rivelando delle certezze. Ma non disse nulla.
Tornati al castello ognuno riprese le sue solite occupazioni.
Ma quando Myo ripensava a quell’incontro sentiva nel suo cuore come la puntura di uno spillo che per un po’ gli procurava un leggero dolore.  Intanto la regina, che voleva la felicità di Myo, non sapeva come fare a donargli quella serenità che sembrava scemare di giorno in giorno dagli occhi azzurri del suo pupillo. Pensa e ripensa, ad un certo punto si ricordò del suo vecchio amico mago Eliodoro che non vedeva da tanto tempo e decise di mandarlo a chiamare per un consulto importante. Il mago Eliodoro non se lo fece ripetere due volte perché aveva una simpatia particolare per quella regina e arrivò come un fulmine al castello.
Quando seppe del problema capì che era proprio una magia difficilissima quella che gli stava chiedendo la regina delle fate, ma non volle arrendersi e, tornato nella sua vecchia torre,  dove si trovava la sua biblioteca, cominciò a consultare i suoi libri di magia uno ad uno. Dopo un po’ di giorni il mago Eliodoro ritornò tutto ottimista al castello della regina  dicendo che, forse, la speciale magia poteva essere compiuta, ma doveva avvenire solo nel regno delle fate e non in quello degli umani.
Allora la regina radunò alcune fatine  e, dicendo loro di procurarsi  della polverina magica, si avviò per quel sentiero in cerca di quella giovane donna dagli occhi tristi che aveva fatto battere tanto il cuore al suo Myo.  Quando la videro sbucare dal fondo del viale ordinò alle fatine di spruzzare sul capo della donna la polverina che la addormentò subito e poi tutte insieme la sollevarono e la portarono al castello dove il mago Eliodoro potè compiere la sua magia.
Quando la donna si svegliò, vide davanti a lei Myo con lo sguardo splendente di gioia. Non era più un folletto, ma un bambino come tutti gli altri. La donna gli spalancò le braccia  nelle quali lui si rifugiò senza indugio mentre le sue labbra pronunciavano una parola che gli dettava il suo piccolo cuore : mamma!  La sua mamma ritrovata lo stringeva forte a sé ed  ambedue non smisero di piangere fino a quando nel cielo apparve una luna immensa con un sorriso particolare.
Myo e la sua mamma non capivano bene in che luogo fossero capitati, ma questo non li preoccupava; erano solamente consapevoli che qualcuno li aveva fatti incontrare e che i loro cuori si erano riconosciuti e ora battevano all’unisono e non avrebbero potuto più rimanere divisi l’uno dall’altro,  per nessuna ragione al mondo.
E non seppero mai che anche la regina, mentre li osservava, sentiva sgorgare dai suoi occhi delle goccioline che un venticello leggero raccolse e lasciò cadere nel mare,  dove furono  gelosamente custodite dalle preziose conchiglie.

Giovanna  Giordani

Domenica scorsa era la giornata del Movimento per la Vita e sono stata molto felice che questa mia fiaba abbia ispirato, per l'occasione,  la seguente rappresentazione realizzata in notevole collaborazione fra grandi e piccini con reciproca  gioiosa soddisfazione


lunedì 4 febbraio 2013

LE E-LEZIONI DELLE POVERE BESTIE



E visto il clima elettorale ecco cosa ci propone questa simpaticissima artista

Le e-lezioni delle povere bestie
di Domenica Luise

  
I lupi in veste di lupo e i lupi in veste di agnello avevano fatto alleanza per vincere le elezioni e mangiarsi il gregge, ma all’ultimo momento era spuntato un nuovo partito che disorientò tutti i progetti: gli agnelli in veste di lupo coi lupacchiotti al seguito, che tentavano di sopravvivere o così affermavano. I leoni e le leonesse, le iene ridentes e piagnucolantes, le tigri, i puma e tutte le belve, intenzionati a farsi lautamente mantenere da topi, gatti, cani e bestiole varie, si affrettarono a presentare ognuno il proprio simbolo, ma anche le pulci, che erano universalmente presenti sui diversi manti pelosi, si dettero da fare, cercarono alleanze e formarono una lista di alti acrobati dei conti pubblici. E tutti si organizzarono svelando in televisione le magagne vicendevoli, sempre le stesse secondo i corsi e i ricorsi storici di vichiana memoria, sicché alla fine nessuno capì più niente tranne una cosa elementareuniversalmente nota: che a pagare le tasse e permettere la sopravvivenza economica del pianeta non erano i ricconi, a parte le lodevoli eccezioni, che evadevano e avevano sempre ragione, né i mendicanti, che soldi non ne avevano o facevano finta di non averne, ma quelli di mezzo:professorucolipensionatucciimpiegatucci, fattorini portabagagli, colf messe in regola e via così temporeggiando. In realtà gli unici che lavoravano davvero erano i volontari, su cui si basava il benessere del pianeta, perché lo facevano solo per amore e non per rubare il denaro pubblico o i soldi della beneficenza.
< C’è crisi, c’è crisi> squittivano i topi, compresi Topolino e Minnie.
< Ma che è questa quaresima?> si lamentavano i leoni maschi perché le prede trascinate dalle femmine erano sempre più magre e anemiche.
< Perfino la luna piena non dà più la sua bella luce, è imbronciata, rannuvolata, quasi piangente> ululavano i lupi, anche i cani gli facevano il controcanto abbaiando a tempo al ritmo della coda.
< Smettetela di sfottermi> rispondeva la luna, <ho appena pagato la seconda rata dell’imu celestiale e mi è passata la voglia di scherzare>.
< Tutte bugie per manovrare la popolazione> strepitavano le iene rosicchiando le ossa rimaste dopo il banchetto di condor e sparvieri.
< Chicchirichì> intervenne il gallo, <e cosa dovrei dire io, mi hanno perfino accusato di essere un estremista violento solo perché ho queste quaranta galline da tenere in riga, se non le becco per bene non obbediscono, come tutte le femmine, ma io sono buono, lo faccio per il loro bene, per i figli, i posteri e il pianeta, mica per il piacere di fare loro sanguinare il collo e la schiena>.
Le galline, tutte insieme ammassate in un angolo perché si spaventavano di buscarle ancora, mormoravano sottovoce: <Coccodè. Ma che colpa abbiamo noi, sempre a spremerci e fare le uova, covare e crescere i pulcini e neanche dicono mamma e pio pio che già ci sono le altre uova e le altre covate> e presentarono una propria lista per la liberazione delle femmine.
< È il meccanicismo illuministico che condanna alla sofferenza> teorizzava una gallina di cultura, che aveva aperto un blog di poesia infrequentatissimo ed era perfino laureata.
Ma tu per chi voti?>.
< Non lo so, e tu?>.
< Votare bisogna, un’opinione ci vuole>.
< Sì, ma cosa scegliere?>.
< I lupi no, troppo ululanti e sono pure ladri>.
< I leoni nemmeno, troppo presuntuosi, sono maschilisti e rubano a dritta e a manca>.
< Le iene ci mangerebbero subito e sono tutte ladre>.
< Le pulci fanno le finte tonte, ma sono innumerevoli e hanno un motto preoccupante: l’unione fa la forza>.
< Anche loro rubano sempre doppia porzione di sangue e si sono organizzate in eserciti di squadre violente>.
< Coccodè, daremo tutte a noi stesse il nostro prezioso voto>.
< Forse le oche potrebbero allearsi con noi>.
Ma anche le oche avevano presentato la propria lista, che intitolarono Campidoglio.
< Vota per me> disse la formica, <sono una che fa lavorare gli altri>.
< No, vota per me> fece l’ape, <altrimenti ti pungo a morte insieme allo sciame>. <No, vota per me> sbraitò la tigre, <altrimenti ne patirebbe il commercio delle armi e senza guerre qui o lì come camperemmo?>.
Così ognuno votò per  e per i fatti propri e gli unici che votarono per gli altri furono quelli che non avevano potere, che pagavano le tasse e si ostinavano a risparmiare in tempi di magra, temendo che alla fine arrivassero tempi più magri ancora e che la banca a cui dovevano l’ultima rata del mutuo gli levasse la casa e l’orto.
La conclusione fu che le tasse superarono ben presto gli stipendi e, dopo il fallimento delle piccole e medie imprese, nessuno poté più pagarle, così li condannarono ai lavori forzati e si vedevano professori anche universitari, medici, ingegneri e farmacisti insieme a poveri poeti, maestri d’arte, ferraioli e pensionati perfino ottantenni che sterravano le strade, riparavano le case cadenti e lavoravano la terra nuovamente col bue e l’asinello per risparmiare. Di buono ci fu che diminuirono i mucchi di spazzatura, le discariche si liberarono, si tornò al baratto, al carbone e tutti i ragazzi smisero di giocare sempre al computer e organizzare feste sceme con qualunque scusa.

- Domenica Luise -





domenica 3 febbraio 2013

PARSIFAL




Batte ancora
di terrore
o nobile Parsifal
il cuore delle volpi
inseguite
dagli aguzzini


E tu 
tanto lontano sei
da troppo tempo
ormai


Nuovi mostri
atterriscono
gli abitanti indifesi
del regno di Camelot
e nessuno più sorride
da quando sei partito


Solo una volpe
dal manto scintillante
nell'oscura selva
va dicendo al vento
che un giorno tu
tornerai


- Giovanna Giordani